Thursday, January 25, 2018

Chi ha paura di Virginia Woolf?


LEGGERE VIRGINIA


"L’onnipotente guarderà San Pietro e gli dirà, non senza traccia di invidia nel vederci arrivare con i nostri libri sotto il braccio: “Questi non hanno bisogno di ricompensa. Qui non abbiamo niente, per loro. Sono quelli che amavano leggere"

V.W.



È nel giorno del compleanno di una delle mie donne preferite di sempre che vengo a scoprire come ancora nel mondo ci sia bisogno di saper scrivere ed esprimersi. 
Quando scrivo "mondo" non intendo quello dei 7 continenti che ogni 4 anni si sfidano a colpi di botte nei giochi olimpici mascherando con la scusa dello sport uno spirito belligerante mai sopito tra gli esseri umani. 
Quello è il pianeta che conoscevate e non esiste più.
No, sto parlando di un mondo che ci è molto più vicino di quello reale, il mondo di Internet. 
È qui che scriviamo e stringiamo rapporti. Casa nostra è qui. 
Certo, Google, sei proprio intelligente a ricordarmi che "se Virginia Woolf fosse viva avrebbe 125 anni" (che frase imbecille), ma non vorrei per lei le sofferenze di una tanto lunga vita. 
Io ho 28 anni tra due settimane e, signori miei, che dolori alla schiena che ho!

Ad ogni modo leggere Virginia è stata una delle esperienze più forti di cui ho memoria. Non scriveva per tutti, non se ne faceva niente del parlare per tutti. Ricordo un passo di "How Should One Read a Book?" dove lamentava la carenza di doti belletteristiche di un suo vecchio studente ad un corso di scrittura creativa. Raccontava di come questo dovesse per forza inserire in un racconto breve Marx e il capitalismo. Era sprezzante, sì; psicotica, d'accordo, ma sapeva scrivere. E sa Dio se non vi basta leggere Gita al faro per sondare dentro ogni vostra malinconia.

Non dico che ti basta saper mettere insieme due litri di inchiostro che tutto ti viene perdonato, ci mancherebbe. Sto solo dicendo che Virginia, a 125 anni e tutti gli acciacchi di cui sopra, vi staccherebbe le vertebre come grani del rosario se leggesse la vacuità della poltiglia che postate nel web.
Sono circa due giorni che i social sono impazziti di brutto per una battuta scritta su internet da un ragazzo diventato famoso proprio qui, su internet, per fare fumetti. Deve essere dura quando la ciurma si ammutina. La battuta è stata molto, molto infelice ma non entro nel merito perché le brutte figure sono incendi e devi togliere ossigeno alle fiamme per farle morire. 
Io questo ragazzo l'ho incontrato, per intervistarlo, una volta durante la presentazione di un suo libro. Mi aveva lasciata di stucco la cristallina noncuranza con cui ammetteva di non leggere. Si riferiva ai fumetti ma tant'è. 

Poi oggi scrollo la sua pagina personale di Facebook e leggo delle scuse che, forse, peggiorano una situazione già grave. Perché scritte male e con uno spirito, ancora una volta, di noncuranza cristallina che sfiora la sicumera. 
Dividere frequenter, dicevano i latini e ora non fatemi fare la parte della boriosa che sa il latino se vi dico che anche nell'arte occorre distinguere. Dividere la persona dal prodotto.

Perché Virginia era matta, ma i suoi libri parlavano per lei. E invece questo ragazzo è un ragazzo, vuoto o pieno che sia, ma il suo prodotto non parla PER LUI. Parla ALLE persone senza dire niente. Ma non è il ragazzo, è il prodotto del ragazzo e per quello andrebbe giudicato. Il prodotto è banale con punte di meschinità, ma ancora una volta, togliete ossigeno a ciò che non vi piace. Alzate il livello, aumentate la difficoltà. Sempre.
Altrimenti il vostro risultato sarà quello di una persona che scrive di tutto e male, convinto di essere esso stesso l'oggetto di desiderio. Non vogliono te, vogliono le tue battute e tu gliene devi fornire, da dentro il tascotto della Napapiri come Blue meth, sempre e sempre di più. Ma se non leggi la tua coperta è molto corta e quando finisce si scopre la tua nudità, volgare e vulnerabile.

Le battute infelici, seguite dalle scuse cialtrone (accettate, ben inteso, ma pur sempre cialtrone) sono il risultato di chi non legge e non vuole leggere. E dovreste avere paura di Virginia Woolf, perché sta arrivando per sgranarvi le vertebre. 





Sunday, January 7, 2018

Di cinema e fluidi corporei

Vi ricordate quella belle époque in cui si andava al cinema per ravanarsi col tipo o limonare? No? Neanche io. Non ho sessant'anni. Al cine ho solo lacrime amare o travasi di bile. Una triste storia vera




Nel Suburbs dove vivo durante la splendida bolla degli anni '90 erano attivi ben due cinema. Al di qua e al di là di un sottopasso c'erano questi multisala (ad onor del vero multi = 3/4 sale a testa) che si sfidavano a colpi di capolavori Disney e mega produzioni hollywoodiane tipo Titanic.
Sì, vidi Titanic 4 volte come tutte le persone normali. Due volte in ciascun cinema. 
Ma con lo splendore pre - millennio se ne sono andati anche i due cinemini di periferia.
Oggi nel suburbs dove ancora abito e resto, volente o nolente, abbiamo ormai solo due bug di sistema enormi. Ancora quei due posti, a distanza di anni, non hanno un'identità definita. Una cosa è certa: il grande multisala (stavolta multi = 8) del gruppo Uci. 
Ora non so negli altri Uci ma nel caso del mio Suburbs questo posto è una specie di Hub per il volano economico di provincia dove confluiscono
- una pizzeria
- una paninoteca
- una scuola di danza
- un corso per chef
- una hotdoggeria
- una sala giochi
- uno showroom d'arredamento di interni

BIG MOVIES
BIG MONEY?

No. Solo una big sfiga che ti fa la riverenza. 
Perché qua non ci capiamo più niente con il concetto di entertainment. 
Il prezzo dei biglietti nel giro di 10 anni è quasi raddoppiato per sostenere una macchina di Rube Goldberg che ti fa venire voglia di chiudere con lo showbiz e aprire un bel libro. O fare una sciarpa ai ferri. O farti una bistecca ai ferri.

Ieri volevo vedere Coco della Pixar. E per vederlo l'ho visto. Ma che fatica, signori miei. Nel mio cinema, ASSOLUTAMENTE NON di fiducia, i film iniziano CIRCA 25 minuti dopo l'orario di programmazione. Dici: "È lo show biz ciccia". Ok ma allora provate a dire al vostro capo che inizierete a lavorare con un ritardo stimato di mezz'ora. Ogni volta. Ogni giorno.
A QUESTI LIVELLI NON È PIU' SHOWBIZ, È PIGRIZIA. 

Prima del film in questione non era prevista solo la solita piacevole carrellata di trailer e quella meno piacevole di spot di attività locali, ma anche un corto della Disney.
Ora, non sono una che guarda i cartoni da ieri, sono ben svezzata ai corti Pixar e al Disney pre show ma quello che è successo ieri è stato come una trombosi al mondo dell'intrattenimento. 

Erano già trascorsi 30 minuti di pubblicità quando è partito il cortometraggio di Olaf, dolce pupazzo di neve che attualmente vorrei prendere a picconate con la stella del mattino giusto prima di passare in rassegna il capitolo: "torture medievali" del mio libro di storia. 20 ABERRANTI MINUTI DI CANZONI MELENSE ED INSIGNIFICANTI. Raga, davvero, fuori da qui rispetto l'opinione di tutti ma qui siamo nel mio blog e posso sbilanciarmi in comodità per dirvi che se già Frozen è debole (seppur con punte brillanti), quello specifico corto di Frozen è UNO SCHIFO. NON FATELO VEDERE AI BAMBINI PERCHÉ DISIMPARANO AD USARE IL VASINO. I BAMBINI REGREDISCONO AL LIVELLO DI GIRINI. 

MORALE DELLA FAVOLA? UN FILM SEGNATO IN PROGRAMMAZIONE PER LE 22.30 È INIZIATO ALLE 23.17.
E A MEZZANOTTE HANNO ANCHE AVUTO LA DABBENAGGINE DI FAR PARTIRE IL BREAK DI 5 MINUTI PER PRENDERE CAFFÈ E POP CORN.
NON - CI - SONO - GIUSTIFICAZIONI
Allora mettiamo in chiaro che non vado al cinema per trastullarmi col mio ragazzo o pomiciare, i sogni sono una cazzo di cosa seria. Per darci di più ci danno di meno. Datemi un film altrimenti avrò un travaso di BILE.

Il film, che forse i più tra voi avranno dimenticato (ma anche io alla decima canzone di Frozen non ero più tanto certa di cosa fossi andata a vedere), vi ricordo era Coco della Disney/Pixar. Non voglio fare spoiler, non voglio far salire vertiginosamente l'hype e rovinarvi la pellicola ma vi suggerisco di vederlo. Ve lo consiglio soprattutto se vi piace quando questi film d'animazione fanno partire l'up and down di sentimenti. 
Di solito io rido, piango, mi bevo le mie stesse lacrime e non so più se l'amaro in bocca è il mio pianto per il film toccante o la bile per l'orrido corto di Frozen. 

Nonostante lo schifo rappresentato dall'identità del cinema di periferia, che per quanto grande nelle dimensioni, non esce mai dalla categoria "cinemino", l'esperienza resta. Esperienza dello schifo ma esperienza.